21/01/07

Mr Flores - l'Innocente

Mario Flores ha occhi grandi e la faccia da ragazzo della porta accanto, ma nasconde angoscia e sofferenza…è un ex condannato a morte. Nato nel 1965 a Città del Messico, è emigrato negli Stati Uniti quando ne aveva 7. A 19 anni viene accusato d'omicidio e per questo condannato a morte. Lui si proclama innocente (continuerà a farlo sempre), ma della sua innocenza non ha prove certe e quindi resta in carcere per 20 anni…vive nel "braccio della morte" in attesa d'esser giustiziato entrando di diritto nel celeberrimo club dei "dead men wolking". Nel 1999 il suo caso arriva ad una svolta: lo Stato dell'Illinois dà il via libera all'uso della prova del Dna nel processo…si rimette in moto la macchina giudiziaria e Mario viene riconosciuto innocente. Nel 2004 esce di prigione: non ottiene neanche un minimo riconoscimento, cacciato dagli Stati Uniti come "persona non gradita" è deportato in Messico. Mario racconta che durante la prigionia ci sono stati anche dei bei momenti: le volte che la famiglia gli faceva visita; le lettere che migliaia di persone comuni gli scrivevano per fargli coraggio; la solidarietà degli altri detenuti. L'unico grande problema era il tempo: non passava mai…quello è il vero crimine: sprecare il tempo! Per questo motivo dice d'aver visto tanta gente suicidarsi; per questo motivo ha imparato a valorizzare il suo tempo leggendo, scrivendo, dipingendo e sognando…sognando di poter dimostrare la propria innocenza.
Racconta di vivere più nella paura da quando sta fuori dal carcere che quando era internato…"In cella superavo la paura con lo sconforto di essere prima o poi giustiziato e quindi vivevo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Ora è un po' più difficile trovare le coordinate giuste. Resto ancorato alla mia forza che per anni è stata la mia famiglia ed alla fede in Dio. Credo in Dio ed ho imparato a conoscerlo nel braccio della morte, dove l'unica speranza è riposta in ciò che non vedi. Dio è la corda più forte a cui puoi aggrapparti". Gli viene chiesto qual è il suo senso della vita…dice che è quello di utilizzare tutti i cinque sensi e godersi lo spettacolo che Dio ha messo in piedi sulla terra.
Che la pena di morte sia o meno uno strumento di giustizia praticabile genera opinioni contrastanti…questo è noto, ma non vuole essere la mia riflessione…penso a quanto studiato sui libri di diritto; alla presunzione d'innocenza fino alla prova certa ed inconfutabile; al garantismo tanto proclamato da Stati moderni e culture civilizzate, messo in ridicolo da pubbliche e pubblicizzate iscrizioni sui registri degli indagati di nomi che automaticamente diventano imputati, non ancora per i tribunali, ma di fatto per le coscienze popolari...penso al terrore di doversi fidare solo di quello che non vedi, alla perdita della razione e della speranza in chi ti è vicino e ti dovrebbe tutelare...penso al tempo che scandisce la nostra vita: il suo ritmo veloce del precipitare delle situazioni ed a quello mortalmente lento delle loro esasperazioni...penso a quanto l'uomo si adatti a tutto, dalla regola darwiniana a quella popolare "di necessità virtù'" e di come le certezze umane siano indispensabili tranquillanti per le coscienze mortali: avere un colpevole, un carnefice, una colpa, una pena, un diritto, un dovere, un senso, una logica...forse allora il vero senso della vita è quello d'avere coraggio; coraggio nel fermarsi, fare un passo indietro, cercare chiarezza e guardarsi attorno come dal vetro d'un acquario mantenendo intatta l'obiettività, fingendoci estranei pur vivendone il coinvolgimento. Coraggio di non esser perfetti, di poter sbagliare, di non esser così ipocriti da non saperlo accettare, ma così onesti da poterlo affrontare.

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