Mr Flores - l'Innocente

Racconta di vivere più nella paura da quando sta fuori dal carcere che quando era internato…"In cella superavo la paura con lo sconforto di essere prima o poi giustiziato e quindi vivevo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Ora è un po' più difficile trovare le coordinate giuste. Resto ancorato alla mia forza che per anni è stata la mia famiglia ed alla fede in Dio. Credo in Dio ed ho imparato a conoscerlo nel braccio della morte, dove l'unica speranza è riposta in ciò che non vedi. Dio è la corda più forte a cui puoi aggrapparti". Gli viene chiesto qual è il suo senso della vita…dice che è quello di utilizzare tutti i cinque sensi e godersi lo spettacolo che Dio ha messo in piedi sulla terra.
Che la pena di morte sia o meno uno strumento di giustizia praticabile genera opinioni contrastanti…questo è noto, ma non vuole essere la mia riflessione…penso a quanto studiato sui libri di diritto; alla presunzione d'innocenza fino alla prova certa ed inconfutabile; al garantismo tanto proclamato da Stati moderni e culture civilizzate, messo in ridicolo da pubbliche e pubblicizzate iscrizioni sui registri degli indagati di nomi che automaticamente diventano imputati, non ancora per i tribunali, ma di fatto per le coscienze popolari...penso al terrore di doversi fidare solo di quello che non vedi, alla perdita della razione e della speranza in chi ti è vicino e ti dovrebbe tutelare...penso al tempo che scandisce la nostra vita: il suo ritmo veloce del precipitare delle situazioni ed a quello mortalmente lento delle loro esasperazioni...penso a quanto l'uomo si adatti a tutto, dalla regola darwiniana a quella popolare "di necessità virtù'" e di come le certezze umane siano indispensabili tranquillanti per le coscienze mortali: avere un colpevole, un carnefice, una colpa, una pena, un diritto, un dovere, un senso, una logica...forse allora il vero senso della vita è quello d'avere coraggio; coraggio nel fermarsi, fare un passo indietro, cercare chiarezza e guardarsi attorno come dal vetro d'un acquario mantenendo intatta l'obiettività, fingendoci estranei pur vivendone il coinvolgimento. Coraggio di non esser perfetti, di poter sbagliare, di non esser così ipocriti da non saperlo accettare, ma così onesti da poterlo affrontare.
Etichette: Cogito ergo sum
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